martedì 25 aprile 2017

Milan, quanti dubbi dietro il closing: ecco sei cose che forse non sapete

Il passaggio della società calcistica da Silvio Berlusconi ai nuovi proprietari asiatici ha lasciato molte domande: dall'origine dei fondi alla nuova struttura di comando. Abbiamo provato a mettere in fila alcune risposte.




Milan, quanti dubbi dietro il closing: ecco sei cose che forse non sapete Li Yonghong, Silvio Berlusconi e Li Han C ’erano una volta le dieci domande a Silvio Berlusconi. Dopo oltre due anni di trattativa per la cessione dell’Ac Milan da parte della Fininvest oggi si sa che il closing si è in effetti chiuso il 13 aprile. Si sa il prezzo: oltre 1 miliardo di euro incluso il calciomercato ed esclusi i circa 80 milioni di euro fra interessi e commissioni. Si conoscono i nomi degli otto nuovi consiglieri, anche se i quattro di parte cinese sono poco più che semplici nomi. Ma alcuni interrogativi rimangono. L’Espresso ha provato a mettere in fila le risposte a tutto quello che si sarebbe voluto sapere sulla vendita dei rossoneri ma nessuno ha osato chiedere.

1. Chi sono i finanziatori? 
La società che ha sbloccato la cessione con il suo prestito da 303 milioni ai cinesi si chiama Elliott advisors. È la branca europea di Elliott management, gruppo con base a New York guidato da Paul Singer e dal figlio Gordon. È noto che Elliott, definito dal Financial Times «aggressive activist hedge fund», ha giocato un ruolo chiave nella crisi finanziaria argentina obbligando il governo sudamericano in default a versare oltre il 100 per cento della cifra che il fondo aveva investito nelle obbligazioni andate in default con un incasso di 2 miliardi di dollari. In queste settimane, il Milan non è certo la principale preoccupazione della famiglia Singer. Elliott è impegnato nella battaglia da 22,4 miliardi di euro per conquistare Akzo Nobel, numero uno europeo delle vernici. Un secondo fronte riguarda lo scontro interno con il management del colosso minerario Bhp Billiton, di cui Elliott è azionista, dove i Singer puntano a una maggiore valorizzazione della società nell’ordine di 46 miliardi di dollari. Per Elliott, insomma, i 303 milioni di euro di finanziamento girati a Rossoneri sport investment attraverso l’altra lussemburghese Project Redblack sono i proverbiali bruscolini. Fondi offshore. Soldi fantasma. Incroci con la criminalità. Ecco come il nostro campionato è sprofondato. Diventando sempre più lo specchio di una nazione senza anticorpi Anche il ritorno in termini di interessi è buono ma non straordinario per gli standard di uno hedge. Nei 18 mesi di durata del prestito, Yonghong Li e soci dovranno rimborsare circa 45 milioni di euro, oltre al capitale e oltre a una cifra di poco inferiore per le commissioni sull’operazione da versare a Lazard, Rothschild, Chiomenti, Gianni Origoni Grippo Cappelli e gli altri consulenti minori. Per garantire il loro finanziamento, gli uomini di Elliott hanno messo in campo una doppia copertura dal rischio. La prima è il pegno su tutto il capitale del Milan passato di mano (99,93 per cento). La seconda è l’appoggio di un altro gruppo finanziario che si chiama Blue Skye, con sedi in Lussemburgo e a Londra. Blue Skye nasce in Lussemburgo nel 2005 come una joint venture fra il fondo Usa DB Zwirn e la Sopaf rappresentata da Giorgio Magnoni, Stefano Siglienti e Maurizio Cozzolini. Per DB Zwirn (Dbz) lavorano due napoletani con base a Londra, Salvatore Cerchione, 46 anni, e Gianluca D’Avanzo, 42 anni, specializzati in ristrutturazioni aziendali. Nel 2006 Sopaf è uscita dal capitale di Blue Skye che ha spostato il controllo alle Cayman e ha passato gli anni successivi in una girandola di compravendite intergruppo con varie società targate Dbz. Le attività italiane, a quanto si può giudicare dagli elementi documentali, non sono andate alla grande. Anche se Cerchione e D’Avanzo dichiarano un portafoglio di investimenti da 1,2 miliardi di euro, la loro attività più nota finora è stato il salvataggio del gruppo di ristorazione veneziano fondato da Arrigo Cipriani (Harry’s bar) che ha ricavi per 7 milioni di euro, circa un mese di costi del Milan. La controllata italiana dei due manager napoletani (Dbz recovery) ha chiuso i battenti sei anni fa ed è stata messa in liquidazione insieme alla controllante lussemburghese Dbz special investments. Le quote delle società sono state rilevate da Pegaso, una fondazione (stichting) con sede ad Amsterdam. Il tutto per un bilancio di qualche centinaia di migliaia di euro, parecchi zeri in meno rispetto alle operazioni alle quali è abituato Elliott.

2. Che cosa succede se i cinesi non pagano?
Si è enfatizzato il pegno ottenuto da Elliott sul capitale del Milan. In caso Li non paghi, il club rossonero con i bilanci in rosso fisso passerebbe al gruppo Usa. Per Elliott sarebbe una catastrofe. Il mondo degli hedge fund ragiona su profitti molto alti, largamente superiori a quanto il resto del mercato finanziario può offrire. Se va bene, come è accaduto con i bonos argentini, ci si spartisce una valanga di soldi. Se va male, i sottoscrittori incassano le perdite, si ritirano e il fondo chiude, come è spesso accaduto nei tempi recenti e soprattutto a partire dalla crisi post-subprime del 2008-2009. Quello che il fondo di norma non fa è imbarcarsi nella gestione di un’attività imprenditoriale totalmente aleatoria e tendenzialmente in perdita. L’esempio è quello di Jim Pallotta che si è ben guardato dall’impegnare i veicoli del suo Raptor group nell’As Roma, come ben sa il romanistissimo Roberto Cappelli, neo consigliere del Milan che è stato fra i registi dello sbarco americano a Trigoria. L’unica spiegazione è che il prestito di Elliott abbia garanzie collaterali che non sono state rese note. A chi facciano capo queste garanzie non è dato sapere. Si chiamano hedge fund (fondi siepe) per indicare fin dal nome la totale schermatura di chi investe. Oltre la siepe, il buio.

3. Quanti soldi ha Li? 
Per replicare alle incongruenze finanziarie sul closing, le fonti ufficiali hanno fatto sapere in via ufficiosa che il neoproprietario dei rossoneri Yonghong Li si troverebbe davanti tre possibilità. La prima è trovare un nuovo socio e dunque riaprire il closing appena chiuso e farsi un closing tutto suo. La seconda è quotare il Milan alla Borsa di Hong Kong per la gioia dei piccoli risparmiatori locali che non attendono altro. La terza è ottenere lo sblocco dei fondi che il governo di Pechino ha congelato obbligando Li a ricorrere al prestito di Elliott-Blue Skye. Quali fondi? Il Sole 24 ore ha attribuito a Li un patrimonio di circa 500 milioni di euro. Ammesso che sia vero, il Milan è costato più del doppio. Quindi Li ha comprato la squadra con una leva finanziaria che non potrà sostenere a lungo.

4. Ok il prezzo è giusto?
Valeva la pena svenarsi per i rossoneri? Si è detto che la valutazione del club è iperbolica. Di sicuro tutti i parametri sono saltati in presenza di un margine operativo lordo negativo (-24 milioni nel 2015) e di un patrimonio netto di 50 milioni, non lontano da quello della Juventus, che però ha quasi il doppio dei ricavi, è in utile, capitalizza circa 600 milioni in Borsa, ha un parco giocatori di primo livello in Europa e viaggia verso il sesto scudetto in fila, non per conquistare il quarto posto, se va bene.

5. Perché non c’è traccia
 delle lussemburghesi ?
Nella cessione del Milan c’è molto Lussemburgo. Si è detto che Elliott e Blue Skye hanno costituito ai primi di aprile la Project Redblack cambiando nome a una scatola vuota (Luxembourg investment company 166) per finanziare la nuova holding di controllo del Milan, la Rossoneri Sport Investment. Al momento in cui L’Espresso va in stampa non c’è traccia negli archivi del registro commerciale del Granducato di nessuna di queste finanziarie, nemmeno della più vecchia. Per gli standard locali di efficienza in campo societario non è abituale.

 6. Perché comandano gli italiani?
La governance del nuovo Milan è anch’essa incongruente. Yonghong Li, che ha rischiato il doppio del suo patrimonio, non ha nemmeno la soddisfazione di decidere. A parità di voti in consiglio, quattro italiani contro quattro cinesi, il voto dell’amministratore delegato, Marco Fassone, vale doppio come i gol nelle trasferte di coppa. Il nuovo ad si è visto poco nella fase di transizione, dominata da Adriano Galliani neoconsulente Fininvest, e già circola voce che potrebbe non mangiare il panettone. Le altre tre poltrone sembrano più solide. Cappelli, che continua a occuparsi del nuovo stadio dell’As Roma a fianco di Luca Parnasi, ha cooptato l’ex Telecom Marco Patuano. L’ex Eni Paolo Scaroni, vicentino e milanista come il predecessore di Berlusconi, Giussy Farina, ma anche newyorkese di studi (Columbia University), è l’ufficiale di collegamento con Elliott. Sarà lui il nuovo uomo forte in cda?

Farina: “Costretto a vendere il Milan. Berlusconi? Vinse coi miei giocatori”

Silvio Berlusconi e Giussy Farina
MILAN NEWS – Oggi La Gazzetta dello Sport ha intervistato Giuseppe ‘Giussy’ Farina, proprietario del Milan prima che Silvio Berlusconi acquistasse il club nel febbraio del 1986.
L’imprenditore ha oggi 83 anni e ha confermato la sua vecchia versione su quanto avvenuto quando dovette cedere la società all’attuale patron rossonero: «Sono stato costretto a lasciare per pagamenti in nero e quattro mesi di arretrati di Irpef. Altre società non la pagavano da anni, ma hanno voluto colpire me per consegnare il Milan a Berlusconi, che così l’ha avuto senza versare nulla».
Farina ha ammesso che, se tornasse indietro, probabilmente non tornerebbe ad acquistare il club e spiega le ragioni di questa scelta parlando sostanzialmente di soldi: «Allora mi ero adeguato a quanto facevano tante altre società, per cui è difficile giudicare gli errori di quel periodo. Oggi mi comporterei diversamente, ma se tornassi indietro non prenderei il Milan, perché non avevo la potenza economica per guidare una società così. Mi sono fidato di altre persone, ma soprattutto sono stato tradito dalla mia grande passione per il calcio, che mi avrebbe fatto prendere anche il Real Madrid se fosse stato in vendita. Perché per me i soldi non contano niente, conta la passione».
Con l’imprenditore vicentino il Milan tra il 1982 e il 1986 non visse anni semplici e comunque non alzò trofei. Alla prima stagione ci fu la promozione in Serie A dopo la precedente retrocessione in B, poi al massimo i rossoneri riuscirono a conquistare la qualificazione in Coppa UEFA. Sicuramente l’era Berlusconi è stata di un altro livello, però Farina ci tiene a ribadire alcuni concetti.
Ecco le sue parole sul fatto che grazie a Berlusconi il Milan sarebbe diventato grande: «Ma con i giocatori che gli ho lasciato io. Un giorno, a Lugano, incontrai casualmente Mantovani, il presidente della Sampdoria, che mi diede un assegno in bianco per prendere Baresi, lo giuro sulla testa dei miei 7 figli, 12 nipoti e 5 bisnipoti, perché nel frattempo sono diventato anche bisnonno. Gli dissi di no, senza pensarci un secondo. Se avessi venduto Baresi, Maldini, Tassotti o Costacurta, avrei avuto i soldi per andare avanti, ma avrei tradito la mia passione, perché i giocatori bravi non li vendevo. Dopo la retrocessione, avvenuta per cose strane all’ultima giornata, il Milan stava risalendo con due nuovi stranieri, Wilkins e Hateley. Eravamo tornati in coppa Uefa e quando Berlusconi diventò proprietario, in febbraio, la squadra era terza con il Napoli, un posto che oggi farebbe fare salti di gioia a tutti».
Farina ci tiene a rivendicare quanto di buono fatto sotto la sua gestione, ricordando che non ha venduto i gioielli della squadra nonostante potesse incassare molto e continuare a gestire la società. E’ fiero di aver lasciato in eredità a chi è venuto dopo di lui dei campioni che hanno fatto la storia del Diavolo. Ovviamente l’attuale patron non ha mancato di investire e arricchire l’organico con nomi importanti, però qualche grande calciatore lo ha ereditato. E su Gianluigi Donnarumma questo è il pensiero dell’83enne nato a Gambellara: «Io non lo venderei mai, ma non ha torto il suo procuratore visto che il futuro del Milan è incerto».
Inevitabile poi parlare della cessione del club e dell’interminabile trattativa tra Fininvest e i cinesi di Sino-Europe Sports. Una vicenda che ha ormai stancato tutti i tifosi, i quali attendono solo l’epilogo per capire quali saranno le sorti del Diavolo a livello societario. Farina a tal proposito dichiara: «Non si capisce e non so se la colpa è dei cinesi o di Berlusconi. Ma poi chi sono questi cinesi? Non ce l’ho con i cinesi perché non sono razzista. La mia coscienza non mi permetterebbe di trattare con chi non rappresenta in qualche modo l’identità di una squadra, che dovrebbe rimanere legata alla città e ai suoi tifosi. Così, invece, si tradiscono le tradizioni, la storia e l’ambiente».
Insomma, ‘Giussy’ non avrebbe mai trattato la cessione del Milan con acquirenti cinesi. E quando gli viene domandato cosa consiglierebbe di fare a Berlusconi in caso di fallimento dell’operazione con SES, fa una battuta: «Di telefonarmi. Gli darei 5 euro di acconto e poi qualche italiano glielo troverei io. Altro che closing coi cinesi…».

Redazione MilanLive.it

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